lunedì 23 marzo 2020

Il cinema è morto, viva il cinema!


Vi racconto questa, anche se un po’ me ne vergogno, ma io, quando ero piccolo e mio padre mi portava al cinema - un tempo in cui lui poteva godere del film e, contemporaneamente, fumare: c’è stato un tempo in cui tutto questo era possibile, giuro - dunque, dicevo, che quando andavo al cinema con mio padre a vedere soprattutto western (e, spesso, era Sergio Leone a dirigere la storia), io ero convinto che, quando si accendevano le luci tra il primo e il secondo tempo, i personaggi e i cavalli e gli indiani e, insomma, tutti quanti, beh, finivano ai lati dello schermo, nelle quinte, proprie come se fosse una rappresentazione teatrale e lo schermo era, per me, il sipario dietro al quale si nascondeva tutto quel mondo che, fino a un attimo prima, era lì, vivo e palpitante, davanti ai miei occhi.
Vabbè, magari ero pure io che ero un po’ lento, fatto sta che, a un certo punto, tutta questa storia è finita e ho capito che tutto nasceva e finiva nel raggio di luce colorato che partiva alle mie spalle e che si spiaccicava sul telo ben teso posto a qualche metro da me.
Il sogno, in qualche modo, continuava, anche se sentivo che, già allora, aveva perso qualcosa di magico, di misterioso.
Mi stupisce pensare a Fellini che si chiedeva come fosse possibile che, davanti ai cinema dove venivano proiettati i suoi ultimi film, non ci fosse la fila. In qualche modo non vedeva o non voleva vedere quello che stava succedendo: il cinema, inteso proprio come struttura fisica, architettonica, aveva perso la sua aura fantasmatica: la televisione aveva trascinato le storie nelle case, a un palmo di naso dagli spettatori, e tutto questo aveva acceso definitivamente le luci nella sala: la sala era ora visibile - un semplice, osceno stanzone, con un’enorme quantità di sedie, per lo più scomode.
Le cose, poi, hanno preso la strada che tutti sappiamo, di cui tutti godiamo. La visione si è spappolata in quei device che ben conosciamo, il cellulare ha dominato, la comunicazione è diventata un assoluto, il contatto definitivo.
Ma le parole diventano, così, meno preziose perché tutto è facilmente duplicabile, moltiplicabile: copie su copie di mail, di fotografie, di battute, di parole, di saluti, di cazzate, di racconti (talvolta bellissimi). Se queste cose volessimo farle sparire, se volessimo bruciarle, non sarebbe possibile. Provate a uscire fuori dal web, si ci riuscite!
Dove prendete gli appunti? Sul cellulare o sul tablet, certo. I più vecchi utilizzano ancora il computer. Quegli appunti li potete preservare, li rendete immortali.
Ma se li veste scritti su un quadernetto, beh, allora sarebbero preziosi, il vostro quadernetto sarebbe prezioso, sarebbe prezioso perché mortale.
Qualche giorno fa ho incontrato degli amici. Con loro c’erano altri che non conoscevo: stavano bruciando dei quaderni. Ho detto al mio amico: Gino, ma che stanno facendo? E lui: Sai, un nostro amico è morto. Aveva tutti questi quaderni con gli appunti di una vita. Ci è sembrato un bel gesto fare questa cosa qui…
Non capivo. O, forse, sì (ve l’ho detto che sono lento).
Ecco, scrivere su di un foglio. Mi è sembrato che avesse a che fare col cinema, col cinema che una volta era un luogo misterioso, fatato, uno spazio magico dove uno andava a prescindere dal film perché, una parte importante del piacere, era proprio nel luogo che era, a sua volta, storia, storia raccontata (affanculo lo storyteller e tutto il resto). Credo che fosse questa la situazione  che sfuggiva a Fellini.
Insomma, è questa cosa fisica che sta sparendo.
Certo, anche la scrittura è sparita da un bel po’: la stampa l’ha già portata via. Sì, l’ha portata via, ma non abbastanza.
Perché un libro lo sottolinei, ci prendi gli appunti, ci metti su una data. Oppure ci lasci dentro un foglio o il biglietto del bus o del treno (già, anche queste cose non ci sono, certo). Poi, dopo anni, riapri il libro e trovi queste cose: fai un tuffo nel tempo e, questo, ti dà un godimento feroce, straordinario.
Può capitare che ci trovi dentro dell’altro, magari un fiore che non hai messo tu. Oppure, ecco, riscopri una dedica, una frase che uno, una volta, ha scritto, ha scritto a qualcuno, magari proprio a te. Quella cosa lì, il libro, è diventata preziosa - con tutte le sue orecchiette e le pagine strappate. Una volta le cose funzionavano così.
Qual è la direzione, allora? Smaterializziamo, perdiamo rapidamente il nostro corpo. Anche questo è giusto, è naturale. Forse miriamo a diventare tutto “anima”, anche questa cosa qui è bella, è straordinaria. La presenza tattile, sensibile, fisica sarà un ricordo che, lentamente, inesorabilmente, svanirà. Scrivere, recitare, mostrare le emozioni, ridere (spesso), piangere (qualche volta), tutte queste cose continueranno a cambiare, a rendersi sempre più sottili, replicabili, indistruttibili, come se il tempo possa avere un senso. Rimane una dolce nostalgia, una nostalgia incomprensibile, un sentimento strano e che non saremo più in grado di tradurre, un evento curioso che ci renderà perplessi e che durerà meno di un attimo, prima che si riaccendano le luci.

sabato 3 settembre 2016

NESSUNO

Stanotte mi ha chiamato improvvisamente Bruno Keller. Da un anno non lo sentivo.
Aveva voglia di filosofeggiare e io gli ho fatto da sponda ma non per molto. Si sentiva che era mezzo ubriaco...
Mi ha spiegato, a proposito dell'amore, e fermo restando tutto ciò che lui pensa essere questo sentimento (maledetto, osceno, violento, contraddittorio, dolorosissimo e sublime), che le donne migliori - ma credo volesse dire i rapporti migliori - sono quelli che non hanno nome, ruolo, funzione.
Mi ha detto: mettiamo che tu sia "mia moglie". Ecco, questa parola, moglie, sembra concederti tutta una serie di privilegi mentre, invece, non fa altro che legarti a sistemi forti, che, col tempo, t'impediranno di godere.
Nel momento in cui sei "mia moglie" finisci con l'acquisire legami con persone con le quali mai avresti preferito avere legami. Con mia madre, ad esempio. Con la mia ex moglie. Con i miei figli.

Allora gli ho detto: quindi tutte le donne dovrebbero essere amanti.

No, no, no, macché. L'essere "amanti" è un ruolo a sua volta. Comporta una serie di aspettative, doveri, necessità inimmaginabili. Esattamente come succede agli altri ruoli.
Quando dico che "non devono avere nome" intendo proprio che sono destinate a qualcosa di indicibile: è il regno della libertà assoluta. Una donna della quale non sai definire il livello di parentela, di legame, può fare quello che vuole. E qualunque tua gelosia - dico per dire - sarebbe fuori luogo. E questo lo sai: perché se non puoi definire in una parola il tipo di legame, allora tutto è possibile.
Elimina le parole e ti rimane, solo, il godimento.

lunedì 1 febbraio 2016

CONFESSIONI DI MARIA

A.D. 1590, 17 ottobre, ora prima

Ho portato con me Maria. L’ho asciugata, pulita, lavata. La pelle mi sembrava vibrasse. Ma io non potevo accarezzarla. Sulle labbra aveva quel sorriso dolorante che conoscevo bene. Quante volte l’avrò visto? 
La camicia verde chiaro tradiva la fattura maschile e io sapevo bene a chi apparteneva. Era in più punti lacera.
La luce filtrava da una finestra troppo alta ma quel corpo io lo vedevo benissimo. La carne pallida emanava un calore che sentivo solo io. Il suono delle voci e delle urla mi arrivava attutito e, in certi momenti, piombavo in un silenzio e stavamo così, soli, tu e io. Quante volte ci è capitato di rimanere in silenzio, senza profferire parole. E tu ne avevi tante da dirmene, da far venir fuori. Io dovevo leggere nei tuoi silenzi, in quei neri accesi e profondi che erano i tuoi pensieri. Prima o poi me li avresti raccontati e le parole avrebbero trovato modo per venir fuori, ma questo prima, ora non più.

Verranno a cercarti.
Non abbiamo più tutto quel tempo che ci permetteva di rimanere soli, a guardarci, col sospetto che ci fosse ancora qualcosa da dire, qualcosa di più profondo. Oppure era solo la mia speranza, un mio desiderio maligno che covava nella mia anima e non nella tua.
Ora sei qui, immobile, gli occhi chiusi e spero che, da un momento all’altro, tornino ad aprirsi, a guardarmi con quell’aria supplichevole e dolorante, quella che trovavo puntualmente quando, dal mio pulpito, incontravo il tuo sguardo che mi fissava come se volesse chiedermi qualcosa, come se io veramente potessi spegnere e risolvere ogni tuo dubbio, ogni mio desiderio.

Quando ti verranno a cercare io non vorrei esserci, non vorrei trovarmi più qui, vicino a te. Ma mi è terribilmente difficile abbandonarti, lasciarti solo anche per un brevissimo attimo, ora che sarai sola per sempre, ora che non ti vedrò più, ora che ti porteranno via, definitivamente via, da me.

Cosa vuoi che faccia? Continuo incessantemente a bagnarti le labbra e, per un po’, le vedo più rosse, meno pallide. Mi sembra che si stiano screpolando e corro vicino, troppo vicino. Il mio viso ti sfiora, assorbo un odore che mi pare ancora una volta soave. Era così quando ti avvicinavi a me e una volta mi hai detto, allontanandoti di scatto, il suo orecchio è gelato. Devo essere impallidito - pallido lo sono di mio - perché ho capito quanto fossi vicino al tuo viso. Accoglievo le tue parole più segrete ma accoglievo anche una spinta segreta, qualcosa che mi veniva da dentro, una parte sbagliata dell’anima, una forza nera e maligna che non mi faceva capire, che mi costringeva a interpretare senza sosta le tue parole, le parole che bisbigliavi, che cancellavi, che puntualmente strappavi. E allora ti alzavi, correvi via con furia. Non potevo fare altro che dannarmi per cercare di capire. Niente.

martedì 7 aprile 2015

15: donne che fanno male

Lorenzo è il giovane aiuto regista di Bruno. Mi invita a seguirlo nella sede che hanno scelto per fare i casting. Lorenzo è alto, veste con pantaloni larghi, a tre quarti, una camicia colorata, scarpe comode. Ha i capelli lunghi, tirati dietro e legati da qualcosa. Porta occhiali rettangolari e parla con un evidente accento romanesco. E' belloccio e simpatico. Mi dà subito idea d'un tipo in gamba e intelligente. Non mi sbaglio. Ma mi stupisco quando scopro che è anche saggio. Questa saggezza sembra essere caratteristica ricorrente in certi ventenni d'oggi.
Fa freddo. Ci dirigiamo verso la sede.
E' qui vicino - mi dice.
Sì, lo so.
La grande porta con il vetro smerigliato è chiusa ma qualcuno da dentro deve averci visto perché sento lo scatto della serratura. Entriamo.
Saluta la segretaria che, assiepata dietro a una scrivania, manco vedo.
Fabbi, ci mettiamo di là - le dice.
Lei gli risponde qualcosa. Lui le sorride. Mi fa accomodare nella grande sala con le poltroncine rosse. C'è un po' di casino in giro. Gente che si dà da fare con macchine da presa, cavalletti, luci, microfoni.
Quanti anni hai? - gli chiedo.
Fra un po' compio ventidue anni.
Vai all'università?
Frequento la facoltà di Filosofia, quando posso.
Qui a Roma...
Sì, qui a Roma. Ma, questa, è proprio un'intervista allora...
Sì, certo.
Allora registra, registra pure.
Non ti dà fastidio?
Mannò, mi diverte. Che intenzioni hai?
Vorrei farne un documentario... Sul film che sta per girare Bruno...
Mal'essere è un film bello tosto...
Ma io mi fermo prima che inizino le riprese. M'interessa proprio questa parte, quella della preparazione...
Mah, io la trovo pallosissima.
M'intriga questa storia di Bruno che gira il suo primo lungometraggio a cinquant'anni...
Dove finisce Truffaut, prende il via Bruno. E, poi, Bruno ha girato una marea di altre cose... certo, per la televisione, mai per il cinema... Ma è uno che il mestiere lo sa...
E' da molto che lo conosci?
Saranno sei anni. Mi ha preso in simpatia. Mi fa fare qualche montaggio, partecipo alla vita della troupe. Non m'aspettavo che mi chiedesse di fare l'aiuto regista per questo film... Non credo di avere l'esperienza...
Mai fatto prima?
Mai fatto.
E' un ruolo impegnativo...
Lo so. Per questo sto studiando, raccolgo informazioni, cerco consigli. Non mi va di fare brutta figura con Bruno.
Ci tieni a questo lavoro...
No, è che tengo a Bruno. E' una persona importante nella mia vita.
Mi ha detto che sei molto bravo.
Sì, immagino. Ma non è questo il lavoro che voglio fare.
Cosa ti andrebbe di fare?
Non lo so ancora. Mi piacciono gli studi e le materie che sto facendo all'università...
Ma Bruno com'è sul lavoro?
E' lo stesso che conosci al di fuori del set. Keller è sempre uguale a se stesso.
Pretende molto dai suoi collaboratori?
Non è un tipo dispotico. Semmai ironico, di quell'ironia che a volte dà fastidio perché, lì dentro, ci trovi sempre la verità, no?
Sul set me l'immagino un po' come un padre padrone...
Massì, qualche volta lo sarà pure. Però ti assicuro che, in genere, è garbato. E, poi, ci tiene molto alla sua troupe, ai suoi attori... Gli piace che ci sia armonia... Vuole che ci si immagini come una squadra, tutti presi da un unico obiettivo. Per questo è molto attento ai consigli e alle proposte che gli danno gli altri. Non è un despota, te lo ripeto.
Ed Eva? Era una sua attrice?
Ah, Eva. Me lo ha anticipato che saresti andato a parare là...
Beh, in tutta questa storia è il punto più oscuro. Mi pare che ruoti tutto attorno a lei. I suoi amici e i suoi collaboratori che ho incontrato, alla fine, tirano sempre fuori questo nome... Anche Tania...
Tania è carina, no?
Certo, è carina...
Forse dovresti interessarti più a lei. Vedrai che, alla fine, sarà lei a dare un senso a tutta la storia...
Può darsi. Ma io volevo sapere di Eva.
Mi spiace ma non posso esserti granché d'aiuto... Io proprio non me la ricordo. 
Eppure lo frequenti da sei anni...
Sì, ma la mia frequentazione si limita molto all'attività che svolgiamo assieme. Qualche volta beviamo una birra in un pub qua vicino... Oddio, ora che ci penso, m'è capitato di vederla una volta, a una festa... una festa di ventenni e lui che si presenta con questa...
Allora l'hai conosciuta...
Ma, guarda, era un tale casino e ho un ricordo così vago... Una tipa slanciata, particolare, anche molto bella ma... non so perché, ho sempre pensato che lui avesse bisogno di una donna molto meno esuberante... più... dolce. Eva... è un po' come se l'avessi cancellata... Ci tengo troppo a Bruno.
E allora?
E allora ho avuto subito la sensazione che gli avrebbe fatto male.
Troppo bella?
Le donne di Bruno sono sempre belle. Hai conosciuto Tania?
Tania ti piace?
Beh, è bella, no? E sensuale... Comunque Bruno, alla fine, molla sempre...
Ha mollato anche con Eva, allora.
No. Non credo. Questa storia la conosco poco. Non me ne ha mai parlato con chiarezza. Forse perché sapeva che non condividevo.
Gli davi dei consigli?
Non ci credi, eh? Mi vedi troppo giovane... e Bruno lo vedi troppo sicuro...
Già.
Eppure mi dà ascolto. E, una volta, davanti a una birra, credo di avergli detto che lui, una donna così, non se la poteva permettere...
In che senso?
Gli sarebbe costata troppo. Perché era troppo perso, troppo fatto di lei.
Aveva perso la testa... Ma questa è una bella cosa, no?
Oh, forse sì. Ma non per Keller. Perché Keller ci va sempre giù duro, troppo duro. Non sa contenersi. Finisce con il farsi male, molto male; finisce con lo sfracellarsi... E un po' credo sia successo questo...
Mi pare in gran forma, non lo vedo così malaccio.
Dici? Non lo so. Spero che tu abbia ragione. Ma, sai com'è, quella donna era troppo perfetta per lui. Aveva tutte le cose al posto giusto, tutto ciò che lui aveva sempre desiderato. Era proprio stata partorita dal suo stesso desiderio...
Beh, fortunato, allora!
No. Non credo. Quando incontri una donna così... perfetta... o che credi essere così perfetta... allora ti va in pappa il cervello. Prima o dopo ti andrà in pappa. La gelosia e l'invidia prendono il sopravvento. Vuoi che tutti gli sguardi siano per te, che tutte le sue parole rimangano tue, che proprio i gesti non siano per altri... E a lui stava succedendo una cosa simile... La perfezione dell'altro si porta dentro questo dolore, questa felicità della quale sentirai sempre la mancanza. Avrebbe voluto assorbire questa donna. Ma è una cosa che non puoi fare. Bisogna apprezzare l'imperfezione dell'altro. Nell'imperfezione c'è la tua salvezza...
Beh, ora se n'è liberato, no? E' riuscito a venirne fuori.
Tu credi?
(A questo punto faccio uno strano gesto col capo, che non è né un sì né un no).
Io lo vedo molto triste. E annoiato. Ma tutta questa roba qui farà un gran bene al suo film. Un film, quando lo giri, devi essere incazzato. Se stai bene, che lo giri a fare?
Ma, insomma, com'è finita questa storia?
Te l'ho detto: non lo so. Lui non me ne parla. Forse perché ne ha vergogna. Teme un mio giudizio. Ma, io, giudizi non ne do.
E' strana questa cosa...
Quale cosa?
Sembra che tu sia il padre e lui il figlio. Da come ne parli...
Già. La sua età gli dovrebbe dare saggezza, forza, stabilità. Mi sa che non ha nulla di tutto questo. Sta cercando ancora la sua strada. Ma, vedi, è questa cosa qui che gli dà la forza e la voglia di cambiare. Altrimenti lo avresti trovato in pantofole e a giocare a carte in attesa della morte. Gli voglio bene per questo.

venerdì 3 aprile 2015

14. Perché (e come) scrive Bruno Keller

Metto su una musica e sento che funziona. Allora inizio a scrivere. Ho una traccia. Bene o male so dove devo arrivare. Ma come sarà il percorso, accidentato o meno, con voragini paurose, con buche profonde o liscio e piano, questo non lo so. Ci saranno eventi che, lungo la strada, mi meraviglieranno, mi stupiranno. Zero noia. Una certa fatica. Cose che pensavo di non conoscere ma che, da qualche parte, stavano dentro di me - non so come siano arrivate fin lì.

Ho un'idea precisa del perché scrivo. E del come arrivo a scrivere, di ciò che mi serve per scrivere.

Affonda nella notte dei tempi...
Ho fatto un lungo tratto di strada ripetendomi questo stupidissimo e banalissimo incipit. Comunque sia, volevo dire che affonda nella notte dei tempi questa intuizione che vede nella musica e nella danza (avete presente i dervisci?), la possibilità, per l'uomo, di perdersi, di entrare, di scendere in una realtà "altra", che lo illude di poter vedere meglio, più chiaramente, più a fondo, in quelle che sono le tenebre dell'animo umano, in quella cosa oscura che, altrove, chiamano inconscio - un inconscio che non è sotto o dentro di noi, ma ci è attorno, vaga come frammenti, come asteroidi che vagano nello spazio - la loro presenza è, però, più fitta tanto che crea un reticolato che ci avvolge e che ci unisce agli altri.
Maghi, santoni, sciamani e matti: tutti praticano questa melma, sono capaci di sprofondare - con tecniche diverse - in questa realtà più nascosta, che ha a che fare con i sogni e, alla fine, con l'alterazione delle percezioni. Una specie di presonno che mantiene un barlume di coscienza, che crea questa sensazione di stare qui e, contemporaneamente, in un altro luogo. I matti, in tal senso, vengono esclusi...
Alterare le percezioni, tenere saldi i piedi sulla terra e, al contempo, poter osservare un altro mondo. Alcool e droghe rendono questo effetto. O, ancora, una respirazione forzata, un'indecente quantità di ossigeno che affolla il cervello. E anche, in parte, la meditazione, almeno in parte. Questa alterazione ci illude di poter mettere ordine e dare un senso all'esistenza - mettiamo ordine anche alla morte.
"Dover" scrivere è questo. Diventa una necessità utile alla sopravvivenza propria e a quella altrui.

Questa cosa l'ha scritta Bruno Keller. Dopo giorni che non lo sento, che mi evito di chiamarlo, d'inseguirlo, mi manda questo messaggio su whtsapp. Ci avrà messo un'ora a scriverlo - io ci avrei messo tanto. Ma lui sarà stato più veloce.
Allora lo richiamo, gli chiedo come va.
"Mah, che ti devo dire? Sono finito all'ospedale..."
"All'ospedale?"
"Mentre facevo footing..."
"Ma dove sei?"
"A Napoli. Ma rientro lunedì. Ci vediamo? Ho qualcosa da dirti."
"Insomma, come stai?"
"Bene, tranquillo. Sovraffaticato. Credo che c'entri anche l'eccitazione per il film che sto per girare..."
"Stai male per il troppo godimento?"
"Non scherzare. Quando mi prendevano gli attacchi di panico, un bel po' di anni fa, nessuno credeva che fossero un sintomo di una felicità galoppante..."
"Ma dai! Ho letto il tuo messaggio... Ti sei messo a scrivere?"
"Beh, la sceneggiatura non si è scritta da sola..."
"Vabbe'..."
"Scrivo sempre. Dovrei scrivere di più Dovrei leggere di più. E' che sono troppo pigro... Ti va di fare una chiacchierata con il mio aiuto regista?"
"Mi parlerà di Eva?"
"Che vuoi da Eva?"
"Mi intriga."
"Non c'entra niente. Ma sei libero di fare le domande che vuoi. Questo gioco va così, me lo sono imposto."
"Bene."
"Ti giro il numero. Così scopri come torturo i miei collaboratori, contento?"
"Come no."

giovedì 19 marzo 2015

13. piccoli indizi dell'amor perduto

Quando incontro Lino ho la sensazione di conoscerlo da sempre - immagino sia capitata anche a voi la stessa, talvolta fastidiosa, tal'altra piacevolissima, sensazione.
Lino è il migliore amico di Keller eppure scopriamo immediatamente di avere un bel po' di cose in comune, a partire dal fatto che siamo nati nello stesso giorno, nella stessa città, a poche ore di distanza.
E Lino è un crepuscolare, come me, credo.
Ma lui deve esserlo diventato col tempo, a causa di cose che non gli sono andate quasi mai come dovevano, per un'attesa che s'è prolungata oltre ogni aspettativa.
Lo trovo così, stanco, forse anche un po' addolorato - ma magari è questo tempo grigio che ci circonda, quest'aria fredda che, dopo un po' che siamo seduti al tavolino, ci fa dire meglio entrare.
Quelli del bar ormai mi conoscono e, quasi, mi portano da bere senza che io glielo dica. Lino prende un succo di frutta con del latte - lo facevo anch'io, tempo fa.
"Questa sceneggiatura... sono anni che Bruno me ne parla. Quasi mi viene da dire che eravamo giovani..." e sorride su queste parole, un sorriso che vuole cacciar via questo amaro che gli sale alla bocca.
Ma Keller esce presto di scena, anche se io incalzo: "Ma Eva chi è? dove si trova? la posso incontrare?"
Eva. E Lino. Un altro sorriso inopportuno, un movimento del capo, un suono incomprensibile. "Oh, beh, sai... Eva piaceva anche a me. Piaceva a tutti. Me la sarei scopata anch'io, hai voglia!" Lo guardo, cerco di capire. "Non so dov'è. Credo che non si vedano più. Ma deve essere successo qualcosa tra loro due, qualcosa d'indicibile. Bruno, sai, mi parla di tutto, non ha remore. Sputa fuori i rospi e quello che ha dentro, un po' fregandosene della gente, di ciò che vuole sapere e di ciò che non vuole sapere - la gente. Ti spiattella tutta la sua vita in faccia. Ti obbliga ad ascoltarlo. Sarà felicissimo di questo tuo documentario... il suo ego sarà a mille... Ma di Eva non so più nulla. Improvvisamente lui, semplicemente, non me ne ha parlato. E, ora, lo vedi in giro con quest'altra...", "Tania.", "Sì, Tania. Un'altra ragazzina - ma lo dico senza nessuna idea precisa. Mi sembra solo una che sa il fatto suo."
"E di Eva non ti ha più parlato...", "Niente. Zitto come una tomba. So solo che si amavano. E che si odiavano. Lei deve avergliene fatte un bel po' ma lui avrà risposto per le rime - non è uno che se le tiene..."
"Ha una strana idea dell'amore. Molto... sessuale."
"Massì. Beato lui. E' sempre stato così. Un po' l'ho invidiato."
"Addirittura?"
"Questa sua cosa... questo suo coraggio... sempre disposto a cambiare. E sì che di mazzate ne ha avute, hai voglia. Perché, poi, lui è uno che ci si lega alle donne. In effetti più che un puttaniere incallito è un...poligamo... una mentalità araba... Nessun giudizio di valore, anzi. Una volta sai che mi ha detto? Sono disperato per chi non ho più, sono geloso di quella con cui sto, desidero quelle che non ho ancora... Mi disse una cosa del genere. Lui è fatto così. Sempre in cerca di questa felicità da trovare nella donna..."
"E non l'ha mai trovata..."
"Mah, che ti devo dire? con Eva sembrava l'avesse trovata, sembrava si fosse appaciato. Invece... boh, non so... Vedi, quando sto con lui... ed è per questo che mi piace... non si parla mai di lavoro, di calcio, di politica... mai discorsi sui massimi sistemi o su come dovrebbe essere governata l'Italia o, chessò, su quello che sta accadendo nel mondo... no... Si parla solo d'amore. Delle donne, sì, ma viste sotto questo aspetto. Lui ne è proprio ossessionato..."
"Me ne sono accorto. Diventa fastidioso..."
"Fastidioso dici? A me, i suoi discorsi, fanno piacere. A volte dice certe cose, parlando di se stesso, e non possono non credere che, in realtà, stia parlando di me."
Lino, fa una pausa, sorseggia il suo succo, mi guarda negli occhi quasi come se volesse capire se si può fidare.
Mi dà fiducia, riprende d'un fiato.
"Qualche tempo fa mi ha detto: prendi appunti. Voglio scrivere un manuale che ha per titolo una cosa del tipo Piccolo manuale dell'amor perduto. E, a seguire, mi ha sciorinato quelli che, per lui, sono gli indizi della fine di un amore. Mi tirava dentro al suo discorso perché, ogni tanto, mi diceva: ti ricordi? come se io e lui avessimo condiviso la stessa cosa, nello stesso istante, nello stesso modo - solo con persone diverse. E la cosa mi inquietava perché è come se stesse parlando dei fatti miei, come se stesse analizzando ciò che vivevo io, in quel momento là, con la mia donna. Mi diceva: ti ricordi di quando l'abbracciavi, di notte, così, improvvisamente? Non ne potevi fare a meno, era un impulso che, qualche volta, diventava bestiale e dovevi farci l'amore - ti eri svegliato nel bel mezzo della notte e volevi, desideravi con tutto te stesso farci l'amore. E lei ne aveva piacere di questa cosa. E per strada? Lo stesso. Camminavi e dovevi stringerle la mano, quasi avessi paura di poterla perdere nella calca, nella folla. E calca non c'era. attorno a te non c'era nessuno, attorno a voi non c'era nessuno. E ti capitava mai di doverla guardare fissa, di doverla guardare ancora una volta?... Eri costretto a camminare in questo modo assurdo perché dovevi guardarla mentre camminava. E lei si scherniva ma, anche di questa cosa, ne aveva un infinito piacere... Anche guardarla mangiare era un piacere. La guardavi e di ripetevi: questa è la mia donna che si nutre. Non sai perché ma questa cosa era d'un godimento indicibile. Lei si cibava e tu la fissavi. Beh, questa cosa magari le suonava fastidiosa..."
Mi accorgo che Lino sta prendendo le sembianze di Bruno Keller. La sua voce sembra alterata. Mi scuoto. E' un attore, mi dico. L'attore di Bruno. Sarà che è proprio abituato a calarsi nella parte. Ma Lino non nota questa mia distrazione. E' impegnato a ripetere le parole di Keller e va avanti, senza pause.
"Anche immaginare un viaggio, prima, era un piacere incredibile. Il viaggio iniziava subito, nella tua mente. Ed eravate già seduti vicino, nell'aereo, e tu le leggevi la mano. Oggi lo faresti ancora? E ti stupisci quando si prepara per andare a teatro e tu la vedi, all'improvviso, con una mise che mai avresti detto potesse appartenerle? E ti scoppia, dentro, un piacere infinito e lei lo sente, glielo stai trasmettendo proprio in quel microsecondo lì, eh? Ti è mai capitato? Oppure andate di fretta a trovare certi amici, e siete in ritardo, un ritardo micidiale. Ma ti vien voglia di mangiare una cosa, una cosa specifica in un locale che è il vostro - il vostro, anche questa cosa qui... il vostro locale... - e, allora, cambiate itinerario e tu godi di questa improvvisa trovata, dell'emozione che le provochi cambiando programma. Tutte queste cose, a un certo punto, spariscono. Dimentichi l'entusiasmo che hai vissuto ogni volta che le hai fatto un regalo, dimentichi il piacere di cercare qualcosa per lei e di scoprire che qualunque capo d'abbigliamento a lei sta magnificamente bene. E dimentichi di quanto ti piacesse girare con lei per negozi, di vederla provare le cose. Dimentichi il piacere che ti dava il poter portare su di te un regalo che lei t'aveva fatto. Proprio eri fiero. Ora, dove sono tutte queste cose? Dove sono finite? Ti capita di cercarle? Ti sforzi a ripercorrere le stesse strade, a fare gli stessi viaggi, a entrare negli stessi negozi. Quella cosa lì sembra essere sparita. proprio non riesci a ricordare come fosse fatta..."
Lino si ferma all'improvviso. Poi riprende, come se avesse dimenticato un'ultima cosa. "Volevi starle addosso, vicino, incollato. Mentre dormivi avevi bisogno di sentire il suo corpo. Dovevi aderire, unirti, fonderti, scomparire in lei. Ora non più."

martedì 17 marzo 2015

12. Giovani donne, uomini maturi

"Senti, non mi dire che anche tu credi in questa stronzata delle ragazze che si mettono con uno che ha vent'anni di più perché cercano il padre che non hanno avuto al momento opportuno!"
Bruno Keller mi spiazza subito e non mi permette di pensare che Tania, la sua donna, avrà ben più di vent'anni meno di lui.
"Guarda quella ragazza. Quanti anni avrà?"
Mi volto. A una certa distanza, seduta a una panchina, col cellulare ben stretto e un sorriso solare, presa dal suo piacevole chiacchierare, c'è una ragazza di ventisei, ventisette anni.
"Bene. Vedi questo bel tipo che sta arrivando? Avrà una trentina d'anni anche lui. Qualcuno in più, no? Ma non tanti di più."
Il giovane ha un maglione sportivo, un jeans e canticchia mentre ascolta qualcosa con le cuffie - ci passa accanto, si allontana rapidamente.
"Per qualche motivo che non so, che non capisco, per quella ragazza io risulto ancora più attraente. E non sono poi neanche così bello." Non stento a credergli. "Non do alcuna protezione, nessuna stabilità. Non offro nulla di ciò che le riviste femminili continuano a ipotizzare. Non c'è saggezza né quel fascino dato dall'esperienza. Eppure è così: fra me e lui, sono io quello che ha più possibilità di successo con quella tipa lì."
Non so che dire. Penso a me, alla donna con la quale sto uscendo che ha più o meno la mia età. Mi sento, come al solito, in imbarazzo: Keller ha questa capacità di farmi sentire sempre in ritardo rispetto a un mondo che sembra andare a una velocità ampiamente più sostenuta di quella che posso permettermi io. Mi sento inadeguato, impreparato. Ma continuo, testardamente, a volergli stare dietro. Mi dispiacerebbe troppo non girare questo documentario su di lui e sul suo film maledetto.
"Le ultime tre o quattro donne con le quali sono stato, beh, nessuna aveva più di trentacinque anni. Però, mi devi credere, nessuna di loro stava in cerca di una figura paterna. Piuttosto fuggivano certe lentezze dei loro coetanei. Mi sono fatto l'idea che deve essere stata la tivvù berlusconiana ad averli ridotti in questo modo... Certo, non tutti. Però in un bel po' di maschi trentenni vedi questa mollezza, questo perbenismo, questa voglia di restarsene a casa, a poltrire, questa mancanza di desiderio e, diciamolo, anche questa scarsa propensione a scopare..." e, qui, gli vien giù una bella risata aperta e cordiale che mi fa dimenticare di dissentire anche perché io, tutta questa ricerca sociologica sui trentenni, non l'ho fatta e proprio non so a cosa faccia riferimento, a quali studi si aggrappi, con queste sue meditazioni.
"Mi sa che, la nostra, è l'ultima generazione di romantici, di romantici decadenti o qualcosa di simile... altrimenti non ti spieghi perché stiamo ancora dietro a Bono o ai REM, tutta gente che ha l'età mia. Non ti spieghi neanche perché alla nostra classe politica manchino proprio i trentacinque-quarantenni che dovrebbero dare il cambio... Vedrai che prima o dopo questa cosa della tivvù berlusconiana che ha rincoglionito tutta una generazione di maschi verrà fuori, vedrai..."